Riflessioni relazionali ai tempi del Coronavirus

Il periodo storico che stiamo vivendo, l’emergenza COVID-19, lo stato di pandemia mi hanno portato a fare alcune riflessioni, frutto di un tempo dilatato, svuotato ma contemporaneamente pieno.

Ognuno di noi è stato chiamato a mantenere le distanze, che hanno assunto un significato duplice: ci proteggono dall’eventuale contaminazione ma ci allontanano dagli affetti e quindi ci fanno soffrire. In questo status condiviso, la sensazione è quella di essere tutti dalla stessa parte, tutti alla pari, compartecipi della stessa vulnerabilità. Proprio questa condizione ha contribuito a dar corpo e pienezza alle distanze imposte; si cerca, quindi, di colmarle con ogni mezzo disponibile, il telefono, le videochiamate, i messaggi. Siamo lontani ma più disponibili e disposti all’altro; ci siamo fermati in blocco, di colpo e la prima cosa che abbiamo sentito è stata la necessità di connetterci e dare consistenza, voce e sicurezza alle relazioni.

Il sentimento di unione, precarietà e paura consente di abbassare i muri e le difese, i confini interpersonali si allentano e, sebbene non sia possibile entrare in vero contatto, le connessioni si rafforzano. Oltre ad essere più disponibili all’altro, siamo più disponibili verso noi stessi, in ascolto di emozioni e bisogni. L’emotività è amplificata, in tutti i sensi; siamo liberi di esprimere i nostri stati d’animo e non ci sentiamo giudicati (e non ci giudichiamo) per questo: se prima facevamo fatica a dire un “ti voglio bene”, ora ci accorgiamo che si può fare ed è anche bello.

L’eccesso di distanza o la troppa vicinanza possono spaventare, ecco perché ognuno di noi impara a mantenere la giusta distanza – come racconta bene il dilemma del porcospino di Shopenhauer; mi sembra che adesso non si faccia più molta attenzione alla giusta distanza, il metro di giudizio è cambiato e abbiamo bisogno di rivedere le misure che avevamo preso.

Questo virus ci sta permettendo di sentire, in tutte le accezioni del termine: sentire il silenzio delle strade vuote, sentire le emozioni esplodere nel petto, sentire l’importanza delle relazioni.
Siamo tutti parte di un sistema, come componenti di un meccanismo, e tutti stiamo aspettando e cercando di ritrovare la strada giusta per riattivare il movimento.

Ma sarà sempre lo stesso movimento di prima oppure avremo imparato a modificare qualcosa? Il nostro modo di vivere sarà lo stesso oppure avremo imparato a dare un significato diverso alla normalità?

Cambierà il nostro modo di percepire le distanze, i confini e le relazioni?

Non so dare risposte precise a queste domande, anzi credo che ognuno troverà risposte differenti facendo leva sulle proprie risorse interne ed esterne e attingendo alla propria esperienza. La teoria dei sistemi ci insegna che quando le parti di un sistema subiscono modifiche, l’intero sistema cambia e si riorganizza per ristabilire l’omeostasi, l’equilibrio. Quindi sicuramente anche noi, lungo le fila di un “prima” e un “dopo”, ritroveremo il nostro, forse nuovo, equilibrio.

Dott.ssa Giulia Panella